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Marrakech e piazza Jemaâ El Fna, che di notte si infiamma di odori e di stranezze.

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Tutto iniziò da mia madre, fu lei che mi mise in testa il Marocco. Fin dai primi anni di adolescenza iniziò a parlarmi di quel luogo, ai tempi, così lontano, dove il tempo sembra che si fermi ad ogni vicolo incontrato. Era un inizio d’autunno, le foglie iniziavano ad arrossire e le sciarpe iniziavano ad arrotolarsi attorno ai colli delle signore che camminavano per le vie del centro. Easyjet, sua santità, fece apparire nella mia casella di posta delle interessanti offerte per il mese di novembre. Tra le destinazioni interessati c’era il Marocco. In pochi giorni organizzai un viaggio di questo incredibile paese, comprando i voli alla misera somma di 45 euro, atterrando a Marrakech e ripartendo da Fès. Finalmente potevo vedere con i miei occhi ciò che mi era stato raccontato per anni. In queste righe, e in quelle delle prossime settimane parleremo di questo paese, delle sue incoerenze, delle sue bellezze e di tutto ciò che porta con sé. Sempre dal punto di vista di un viaggiatore che prova sempre ad uscire dagli schemi, evitando il turismo di massa cercando di trarre il più possibile dal luogo in cui sta viaggiando.

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La sveglia suona troppo presto. Sullo schermo del cellulare si palesano le 3.25. Mi alzo, faccio la doccia per cercare di ammazzare la stanchezza e poi mi riempio con una bella colazione. Il taxi arriva puntuale e mi porta in stazione dove c’è il solito bus diretto agli aeroporti. Solita e immancabile musica islandese nelle cuffie che fa sognare e viaggiare. Arrivo. L’aeroporto è già pieno. Passo subito i controlli e poi aspetto che si apra il controllo passaporti. Soliti quesiti sul perché la gente sta in piedi a far la fila nonostante ci sia il posto assegnato e finalmente si sale sull’aereo. Come vicine di viaggio ho due signore venete con cui scambio due chiacchiere sui viaggi per la prima parte del tragitto in aereo. Parliamo di cosa mi spinge a viaggiare da solo, a vagabondare per i posti. Non riesco a spiegarglielo bene, semplicemente voglia di vedere cosa c’è un po’ più in là, poi mi addormento in diverse posizioni. Nonostante lo spazio decisamente stretto riesco a dormire. Mi sveglio con la hostess dagli occhi chiari che mi dice che devo mettermi la cintura. Atterriamo, solita fila per il controllo passaporti e usciamo. Cambio i soldi e saluto le due signore venete, che ricambiano con un sorrisone. Esco e prendo un taxi per raggiungere l’hotel. Marrakech è caotica e il traffico è il classico traffico del nord Africa. Arrivo nella medina e ovviamente tempo trenta secondo mi perdo tra i suoi vicoli. Il caldo mi fa sudare la schiena che sostiene il mio inseparabile zaino.
Vagolo a destra e sinistra per cercare un hotel dove lavora una amica dell’università. Dopo svariati chilometri di camminata lo trovo ed incontro una collega della mia compagna di università. Mi offre un tè alla menta ed accetto volentieri. Che buono. Nonostante fosse bollente in qualche modo è rinfrescante. Capirò solo più tardi che il tè alla menta è un vero e proprio rito qui in Marocco. Nulla a che vedere con la nostra cultura. Poi arriva la mia amica, che stava dormendo perché aveva fatto serata. Chiacchieriamo. Lei vive qui da 5 mesi ormai. Facciamo colazione assieme mangiando msaman, una sorta di crepes salate, e delle omelette marocchine. Decisamente deliziose. Lei poi va al lavoro e io mi perdo tra le strade di questa città incasinata, con gente che sfreccia con motorini tra i vicoli e gente che cerca di venderti anche sua madre.
Osservo le piazze, cammino nei vicoli, guardo questo folle popolo nella sua normalità.
Vivono in una tale frenesia che trovo quasi inconcepibile. Ogni cinque secondo cercando di fermarti per venderti tutti la stessa cosa. Finisco a vedere le concerie, i posti dove lavorano la pelle.

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Mi danno un mazzetto di menta per coprire il fitto odore che emana quel luogo. Poi mi dirigo nella nuova Marrakech. Esco dalle mura della Medina e sembra di stare in un’altra città, in un’altra nazione. Negozi di alta moda. Palazzi oltre i sei piani. Bar che servono alcolici. La giro giusto per farmi un’idea, ma questo non è il Marocco che desidero vedere. Ormai si è fatto metà pomeriggio, il caldo mi sta ammazzando lentamente e quindi decido di tornare al riad e decido di dormire per recuperare un po’ di sonno. Mi sveglio attorno alle 7, con la mia compagna di università decidiamo di mangiar fuori e di incontrare un suo amico. Si chiama Yassir e lavora come stilista. Mangiamo un panino di carne a 90 centesimi, in una macelleria trasformata in panineria per la sera. Passiamo per piazza Jemaâ El Fna che sembra andare in fiamme. Il mercato che avevo visto la mattina si era trasformato in un enorme luna park. Le bancarelle si erano trasformate in ristoranti che servivano cibo locale, in cui poco vicino c’erano incantatori di serpenti, addomesticatori di scimmie, bancarelle di souvenir e qualsiasi cosa che un uomo può immaginare. Se cercate qualcosa, andate ad Jemaâ El Fna e sicuramente, se cercate bene la troverete.
Senza dubbio è una delle piazze più particolari che abbia mai visto.

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Purtroppo, dopo aver vagolato per ore, ci incamminiamo verso la parte nuova. Yassir ci porta a vedere casinò (dove io non posso entrare perché i pantaloncini corti) hotel di lusso e bar. Questa non è la Marocco che voglio vedere, e quindi non scriverò molto su di essa.
Beviamo e parliamo di viaggi, poi torniamo verso la medina stanchi. Compro un tappeto da preghiera blu e oro per la mia casetta nuova a due euro, e poi torniamo verso il riad per dormire. Domani la sveglia è alle 6.30 perché abbiamo deciso di andare nel deserto due giorni. Costi decisamente bassi e voglia di scoperta del vero Marocco mi spingono lì. Domani inizierò a consumare l’anima su chilometri e chilometri di strada.

Il Bardo

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Ultima modifica 7 de Dicembre de 2016

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