C’è un luogo magico nel nord del Marocco, che è raggiungibile con quattro ore e mezza di bus da Fès. Un luogo che mi ha stregato soltanto vedendolo in foto. Mi ha preso a pugni nello stomaco solo sfogliando le gallerie fotografiche di un certo Steve McCurry. Un posto che nei racconti di chi ci è stato è sempre un luogo di pace, serenità e silenzio, che è parecchio strano dato che si trova in Marocco.
Quel luogo è Chefchaouen. Un villaggio di poco più di 40.000 anime situato tra le montagne del Rif. La cosa che porta ad essere Chefchaouen così speciale è che la città vecchia è completamente colorata di blu. E fu proprio il suo fascino che mi portò ad intraprendere un viaggio tra le strade marocchine, fino ad arrivare qui. Nel luogo che mi fece sobbalzare il cuore ad ogni passo tra i suoi vicoli con i colori del cielo.
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Alla stazione incontriamo Manuel e Lies, due ragazzi del nostro ostello. Chiacchieriamo e decidiamo di viaggiare tutti assieme. Il viaggio è più pesante di quanto mi sarei aspettato. Il souvenir marocchino del mal di pancia inizia a farsi sentire.
Iniziamo ad andare sempre più su. Su. E ancora su. E alla fine arriviamo a Chefchaouen, e io devo decisamente andare in bagno. Una volta scesi dal bus ecco che ci si attacca il solito rompicoglioni che vuole portarci all’ostello. Gli dico che non gli darò una lira, ma lui si appioppa a Manuel, il ragazzo che viaggia con noi, e iniziano a parlare in spagnolo. Dopo aver camminato una mezz’oretta arriviamo all’ostello. Camere da due per 7 euro. Buono dai. Io finalmente vado in bagno, ma sento che non sto ancora bene, decido di buttar fuori tutto e vado a vomitare. Ed eccolo lì ciò che mi ha fatto star male. Maledette cipolle. Mi riprendo e usciamo a vedere questa meravigliosa città.
Tutto è colorato di blu. Ma davvero, tutto è blu. Sembra di stare in un cartone animato.
Ci sono un sacco di bambini che corrono felici e nessuno che ti ferma per strada cercando di venderti l’invendibile.
Questo è il paradiso dei fotografi. Camminiamo per la medina, ci perdiamo volontariamente, e finalmente per caso trovo la scalinata che mi ha fatto venire voglia di venir qui.
Il mio punto d’arrivo, la mia meta.
Quella scalinata l’ho vista in foto tempo fa e da lì che ho preso la decisione di prendere e partire.
Faccio la foto di rito, e nel frattempo conosciamo un’americana che gira con una polaroid facendo foto ai bimbi, per poi regalargli la foto.
Che stile! Grande.
Io mi riprendo dall’emozione di essere arrivato dove volevo arrivare e poi continuiamo la nostra gita. Tutti vogliono mangiare e quindi andiamo a metter qualcosa sotto i denti, ovviamente io non mangio niente, bevo solo un po’ di coca cola. Non credo che il mio stomaco sia d’accordo sull’ingerire cibo.
Poi decidiamo di tornare verso l’ostello. Un po’ di wi-fi per scrivere ai vari familiari e amici che si è ancora vivi e poi i ragazzi decidono di andare a bere una birra. Io declino gentilmente, il mio stomaco non penso sarebbe molto favorevole.
Vado a letto e mi sparo un actigrip e un imodium crollando così in un sonno profondo.
Durante la notte mi sveglio svariate volte per via dell’actigrip e del letto piccolo. Faccio anche dei sogni strani dove la mia stanza è protagonista di movimenti in assenza di gravità. Devo dosare le medicine la prossima volta. Mix farmacologico che porta alle allucinazioni..
Per non farci mancare niente inizia anche la chiamata del muezzin ed è come se fosse nella camera affianco. Un’ ora di preghiera, dove tutto il villaggio prega e poi finalmente mi riaddormento serenamente. Alla fine mi alzo in definitiva verso le 10. Scendo in quella che possiamo chiamare hall e incontro Manuel e Lies. Decidiamo di andare a far colazione. Camminiamo per le vie di questa città infinitamente blu. Non ci perdiamo ma ogni volta troviamo qualche vicolo nuovo dall’aspetto magnifico che ci fa fermare per osservarlo e stupirci. Ci passerei un mese abbondante qua, solo per passeggiarci la mattina.
Troviamo un posto dove mangiare. Ordiniamo succhi d’arancia, hamburger e panini vari. Colazione sobria. Aspettiamo un po’ e poi arrivano i nostri piatti. L’hamburger fa schifo.
Torniamo verso l’ostello e decidiamo di vedere ancora un po’ questo magnifico villaggio. Parliamo per visitare le piantagioni, alcuni racconti dicevano di colline piene di piante di marijuana dove potersi lanciare addirittura dentro. Ma, purtroppo ci dicono che è appena avvenuto il raccolto e quindi non c’è niente da vedere. Peccato.
Decidiamo di prendere il bus verso Tangeri alle 15.15. Prima, però ci perdiamo ancora una volta tra le vie di questo magnifico villaggio dove passerei ben più di pochi giorni per poterne entrare in perfetta sintonia. Vorrei fermarmi ad ogni vicolo, sedermi e coccolare i gatti. Osservare i vasi colorati appesi ai muri. Conoscere un anziano e sentirne le storie. Giocare a calcio con i bambini in tunica. Vorrei viverci in questo luogo, vorrei scoprirne l’essenza e farmi risucchiare completamente da se. Vorrei camminarci all’infinito. Poi sedermi ad una terrazza e scrivere un libro. Sicuramente la prima poesia sarà questa.
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“Tutto ciò che incontro
è blu
Ogni angolo che giro
Ogni scala che salgo
Ogni strada che percorro
Ogni casa che vedo
Tutto è blu
Un irreale blu
Un insensato blu
Le voci delle persone
escono dalle loro bocche
colorate di zaffiro
I forti odori delle cucine
escono dalle loro finestre
colorate di azzurro
Gli zaini dei bambini
Le scarpe delle donne
Le tuniche degli uomini
Tutto blu
E mentre scrivo questi versi
Seduto in una terrazza blu
Un gatto
grigio
sgranocchia ciò che rimane
di un tajine al pollo
Distraendomi
Svegliandomi
Riportandomi
sul mondo terrestre
dove gran parte
delle cose più belle
cielo
mare
i tuoi occhi
guarda caso
sono blu”
Il Bardo
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