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Il giorno della memoria: un viaggio per non dimenticare la storia

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Il primo novembre 2005 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha stabilito che ogni 27 gennaio sia nel mondo il giorno della memoria. In realtà in Italia era già dal 2001 che in questa giornata venivano ricordate le vittime dell’Olocausto, con eventi e manifestazioni.

Giorno della memoria: perchè è stato scelto il 27 gennaio

Il 27 gennaio è stato scelto nel mondo per commemorare le vittime dell’Olocausto. Era proprio il 27 gennaio quando, nel 1945, l’armata sovietica abbatté i cancelli del più grande campo di concentramento esistente al mondo, liberando così quasi 10.000 ebrei. Molte le iniziative che ogni anno vengono proposte in questa ricorrenza: dai molti film e documentari sull’Olocausto alle tante possibilità di viaggio alla scoperta di Auschwitz e dei molti campi di sterminio. Lo scopo principale di questa commemorazione è quello di mantenere sempre ben vivo nella memoria degli esseri umani cosa accadde, affinchè fatti come quello accaduto ad Auschwitz non debbano più ripetersi. Per tutelare questo importantissimo monumento storico, situato nella cittadina di Oswiecim a circa 70 Km da Cracovia ed oggi museo, l’UNESCO ha deciso di eleggerlo Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

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Viaggi nel luogo dello sterminio: un’occasione per riflettere

Tra le moltissime iniziative nate a seguito della commemorazione dello Shoah vi sono un’infinità di proposte di viaggi che conducono proprio là, all’interno di quei cancelli dove è stato compiuto uno dei più grandi genocidi della storia. Con l’avvicinarsi del giorno della memoria infatti molte associazioni offrono un’ampia serie di opportunità per visitare Auschwitz, rivolte soprattutto a giovani e adolescenti. Se Natale e Capodanno sono occasioni perfette per una una vacanza sulla neve, lo Shoah è un’occasione unica per rivisitare quei posti che hanno segnato così duramente la storia.

Auschwitz: viaggio oltre il cancello

Cosa si trova davanti chi decide di varcare il famoso cancello sovrastato dalla scritta in ferro “Arbeit macht frei“? Già avvicinandosi ai luoghi dello sterminio si può notare un piccolo particolare proprio in quella scritta, che tradotta significa “Il lavoro rende liberi”. Il compito di realizzarla venne affidato ad un fabbro polacco deportato nel campo perché accusato di essere oppositore politico al regime. Jan Liwacz, questo era il nome del fabbro, forse consapevole della non veridicità del motto, saldò la lettera B al contrario. Ancora oggi è lì, ben visibile, a sottolineare che solo la morte poteva rendere liberi i prigionieri rinchiusi ad Auschwitz. Oltrepassato il cancello vi sono i block, le costruzioni rosse che portano ancora racchiuse tracce dei tanti orrori compiuti dai nazisti.

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Última modificación 22 de Gennaio de 2018

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